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Con la sentenza 10 marzo 2022, resa nella causa C-183/21, la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente in tema di decadenza di marchio per non uso, e di compatibilità col diritto comunitario di disposizioni nazionali, anche di natura processuale, in tema di onere della prova.

La pronuncia della Corte prende le mosse da un giudizio instaurato in Germania per ottenere la dichiarazione di decadenza per non uso di un marchio. La ricorrente aveva instaurato il giudizio sostenendo che il marchio oggetto del giudizio non era stato utilizzato, portando a sostegno di tale affermazione i risultati di ricerche effettuate sul sito del titolare del marchio, che non avevano prodotto risultati. Il giudice del rinvio premette che con la sentenza Ferrari (22 ottobre 2020, in causa C-720/18) la Corte di Giustizia ha affermato che è onere del titolare del marchio di cui si chiede la decadenza dimostrare di averne fatto un uso effettivo. Rileva però che nel diritto processuale tedesco vi è una distinzione tra onere della prova e onere di allegazione, quest’ultimo consistente in un onere in capo alla parte di essere «il più possibile concreta nelle sue affermazioni», con il rischio di soccombenza nel caso in cui tale onere non venga assolto. Secondo il diritto tedesco, quindi, nel caso di specie la ricorrente avrebbe dovuto effettuare (e produrre in giudizio) un’indagine volta a dimostrare il mancato uso del marchio di cui si discute. La questione pregiudiziale sottoposta alla Corte riguardava pertanto la compatibilità col diritto comunitario di una norma processuale che impone al ricorrente un onere di allegazione, distinto dall’onere della prova, consistente nella produzione di documentazione e di una ricerca di mercato atta a dimostrare il mancato uso del marchio da parte del resistente.

La Corte afferma anzitutto che la norma in questione non rientra tra le norme processuale nella competenza dei singoli Stati, dato che – se così fosse – la tutela dei marchi sarebbe variabile in funzione della legge del paese, vanificando l’obiettivo di avere una «stessa protezione negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri», come espressamente previsto dalla direttiva 2015/2436. Entrando nel merito la Corte rileva come la disposizione del diritto tedesco di cui si è detto pone – quanto meno parzialmente – un onere della prova a carico del ricorrente, in contrasto con quanto previsto dalla direttiva e dalla giurisprudenza della stessa Corte, tra cui – da ultimo – la sentenza Ferrari. Per questi motivi una disposizione nazionale quale quella di cui si discute osta con il diritto comunitario.

La situazione nel nostro paese, invece, è sempre stata molto diversa. Come è noto, l’art. 121 c.p.i., a seguito della riforma effettuata con il d.lgs. 20 febbraio 2019, n. 15, prevede che «salvo il caso della decadenza per non uso, l’onere di provare la nullità e la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. […] In ogni caso in cui sia domandata o eccepita la decadenza per non uso, il titolare fornisce la prova dell’uso del marchio a norma dell’articolo 24». Ma anche prima del recepimento della direttiva 2015/2436 l’art. 121 c.p.i. prevedeva che «la prova della decadenza per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo, comprese le presunzioni semplici». Ciò in conformità alla giurisprudenza formatasi sulla base delle norme ancora anteriori: «in base alla giurisprudenza formatasi sul testo originario del R.D. n. 929 del 1942 […] l’attore che agisca per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato, e che ha l’onere di provare il non uso di quel marchio nell’intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purché con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso (Cass. 10 maggio 1984, n. 2866); in particolare, l’onere probatorio in questione, affinché non ne risulti praticamente impossibile l’adempimento, va inteso non nel senso che debba fornirsi la concreta dimostrazione del fatto storico che nessun oggetto contraddistinto col marchio contestato sia stato prodotto o venduto in alcuna località del territorio nazionale, ma nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione, avuto pure riguardo alla possibilità che normalmente ha il suo titolare di contestare il valore presuntivo degli elementi dimostrati dalla parte avversa (Cass. 9 dicembre 1977, n. 5334)» (Cass. 28 marzo 2017, n. 7970).


Avv. Chiara Pappalardo


categoria:Marchi e domain names